Marocco tour.

Marocco

Settembre 2019.

Prima tappa in Marocco: Marrakech, la città rosa.

Il nostro tour in Marocco è stato molto più di un semplice viaggio, è stato un magico racconto.

Il viaggio inizia tra quei vicoli così stretti ma colmi di odori, sapori e colori.
Non hai tempo per orientarti in quel gomitolo di strade che ti assalgono un’energia trascinante, un vociare continuo, tentazioni ad ogni angolo.
E così ti ritrovi con due scimmie sulla spalla, un henné su un braccio e a contrattare nei souk senza neanche sapere come.

Atterrammo a Marrakech dopo mezzanotte, il nostro taxi driver ci aspettava all’aeroporto insieme a tantissimi altri autisti di hotel, come se vi fossero solo turisti in arrivo! Dopo un lungo e (dis)avventuroso viaggio verso il nostro riad (per strada incontrammo due tipi poco raccomandabili in motorino che avevano bevuto un po’ troppo…diciamo! 😉 ) arrivammo sani e salvi nel nostro tipico hotel marocchino.

La prima notte volò via tra aspettative ed eccitazione per quello che ci avrebbe aspettato il giorno seguente. Ancora non ci credevamo! Eravamo davvero in Marocco, o forse avevamo fatto un viaggio nel tempo di migliaia di anni. Era il nostro primo viaggio fuori dall’Europa, ma non sapevamo che in fondo non ci saremmo sentiti poi così lontani e diversi.

Primo giorno.

Il primo giorno facemmo esattamente il contrario di ciò che avevamo programmato, per via di un incontro inaspettato con una coppia di amici che si trovava a Marrakech proprio in quei giorni. Incredibile! Da una story su instagram riuscimmo a metterci in contatto e a darci appuntamento l’indomani al Cafè De France, in pieno centro, per il primo di una lunga serie di tè alla menta. La nostra prima tappa insieme fu nella parte nuova della città (ville nouvelle), dove l’attrazione più bella in assoluto sono i Jardin Majorelle.

Un sole caldo ma gentile ci invitò a proseguire il nostro giro verso le tombe dei sauditi, dove avremmo ammirato l’architettura tipica marocchina, con le sue forme geometriche e i regolari giochi cromatici. Passo dopo passo ci innamoravamo sempre di più di quella città, dei suoi luoghi di culto visibili solo dall’esterno, dei suoi palazzi antichi ricchi di storia e cultura. Con quell’odore di spezie, a farci compagnia per le strade dei souk, dopo un pranzo a base di tajine con manzo, prugne e mandorle, decidemmo di rientrare nei nostri riad. Ci demmo appuntamento in piazza Jamaa el Fna per l’ora più bella, l’ora del tramonto.

Ogni giorno, intorno alle 19, quando il sole si prepara a tramontare, se si riesce a trovare un tavolino sulle terrazze dei bar che si affacciano sulla piazza principale, si può assistere a uno spettacolo unico. Jamaa el fna cambia colore gradualmente, il suo cielo si dipinge di rosa, per poi diventare arancione e poi di nuovo azzurro intenso, prima che si faccia sera. Nel frattempo la piazza si anima, inizia a popolarsi di baracche e venditori ambulanti: dal cibo di strada ai souvenir, dall’incantatore di serpenti alle esibizioni di artisti che giocano col fuoco. E tutt’intorno la gente guarda incantata, si lascia distrarre, come in un incantesimo. Dall’alto è uno show in continua evoluzione, a suon di musica, odori e colori teatrali.

E cosi iniziammo a prendere confidenza con il costante richiamo dei fedeli dai minareti sparsi per la città, con quegli odori intensi ma stuzzicanti, con quei modi di fare, a tratti un po’ invadenti, ma incredibilmente gentili e profondi.
Ci sentivamo storditi e rapiti da un fascino unico e da una cornice fiabesca.
Marrakech è una piazza che cambia forma ogni ora, è un invito continuo, una frenesia travolgente, un mix di culture e tradizioni forti. Un’emozione indescrivibile.

Secondo giorno.

Il giorno seguente proseguimmo da soli, prima tappa: Palazzo el Bahia, dal nome di una delle 4 mogli di Aḥmad b. Mūsā, vizir del Marocco nella seconda metà dell’800, e considerato un capolavoro dell’architettura tradizionale marocchina.

Quello era il nostro ultimo giorno a Marrakech, così, dopo un veloce pranzo al sacco a base di msemmen e formaggio spalmabile, avanzati dalla super colazione del nostro riad, decidemmo di visitare anche il Museo Dar Si Said, il più antico della città. Qui sono esposte il maggior numero di opere d’arte marocchina, vi si trovano collezioni di mobili, oggetti d’uso quotidiano, armi e strumenti musicali, nonché tappeti e indumenti indossati dai berberi nel deserto.

Concludemmo la nostra giornata con un ultimo tramonto indimenticabile, salutammo ogni angolo di quella città così sorprendente. Avremmo portato con noi ogni suo profumo e ogni sguardo della gente del luogo. Marrakech, un po’ come il resto del Marocco, più che una città da ‘vedere’ è una città da vivere, andando alla scoperta, oltre che dei suoi monumenti e delle sue bellezze architettoniche, dei suoi riti e delle sue storie. Osservando, ascoltando e conservando ogni singolo atomo di quella indimenticabile brezza marocchina.

Seconda tappa: deserto del Sahara.

Alle 7 del nostro terzo giorno in Marocco eravamo già sul mini van insieme a mamma e figlia neozelandesi, una coppia di ragazzi giapponesi, un ragazzo turco e un uomo indiano (che detta così sembra quasi una barzelletta… 🙂 ).

Scegliemmo di fare l’escursione più lunga, di due giorni, per raggiungere il deserto del Sahara, a Merzouga, al confine con l’Algeria. La prima notte pernottammo nei pressi di Ouarzazate, in un hotel completamente immerso in quella rara vegetazione, un po’ più isolato rispetto agli altri centri abitati. Prima di arrivarvi facemmo diverse fermate intermedie: nelle Gole del Dades e del Todra, una catena montuosa dell’Atlante, e ad Ait Ben Haddou, antica città fortificata ai confini del deserto, nonché patrimonio dell’Unesco. Quest’ultima è stata set cinematografico di molti film di successo, fra i quali Il Gladiatore. Visitammo la kasbah, entrando nel cuore del villaggio e dei suoi abitanti. Arrivammo fin sul promontorio che la sovrasta per ammirane l’indescrivibile panorama dall’alto.

Lungo il tragitto non potemmo non notare quel forte contrasto tra il verde dei palmeti, il rosso terra delle montagne e l’azzurro del cielo. Mi rimasero impressi i bambini che giocavano in mezzo alla strada, le donne sedute per terra o su dei massi a chiacchierare tra loro. A separare un centro abitato dall’altro paesaggi naturali lunghi chilometri, completamente aridi e secchi, per via delle elevate temperature. Quel che ai più poteva sembrare un territorio deserto e abbandonato, faceva da sfondo alla vita quotidiana della sua gente, a cui bastavano una pietra e una palla sgonfia per vivere felici.

Fu bellissimo la sera riunirsi tutti intorno a quella tavola, imbandita di specialità marocchine, scambiandoci prime impressioni, storie e racconti di vita dai nostri angoli di mondo. L’indomani ci rimettemmo di nuovo in viaggio, tra una sosta e l’altra, in direzione Merzouga.

E poi, finalmente, il deserto.

L’esperienza nel deserto è stata un viaggio nel viaggio, che ha dato un valore aggiunto al nostro tour in Marocco.
Partire al tramonto sul nostro cammello, per raggiungere l’accampamento, è stato divertente, romantico, cinematografico.
La musica, i racconti, zero Wi-fi e un cielo così stellato da sembrare finto.
Poi la magia dell’alba, la cammellata silenziosa, quella sabbia dorata.
Forse è stato solo un sogno.

Terza tappa: Fès.

Incredibile come siano cambiati i luoghi, l’atmosfera e gli usi e costumi da sud a nord del Marocco, passando per i villaggi berberi e i paesaggi aridi del deserto.
Fitte e immense distese di verde circondavano i nostri passaggi intorno alle montagne, accogliendoci in una nuova città imperiale: Fès.

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Lì ci attendevano i 9000 vicoli che costituiscono la Medina dalle 14 porte.
Impossibile non perdersi, ritrovandosi spesso in stradine strette e senza uscita. Non a caso Fès ha la medina più antica e grande di tutto il Nord Africa.
A guidarci verso il riad l’odore del cous cous e verdure e il vociare continuo nelle vie principali.

Quinto giorno.

Il nostro arrivo fu un po’ turbolento, per via dell’impatto decisamente più prorompente con la città: il nostro riad si trovava nel cuore della medina di Fès, che definirla un labirinto è davvero poco! I suoi vicoli, così stretti e affollati, da non lasciare spazio ai passanti. Erano occupati dalle esposizioni dei negozi di oggetti di ogni tipo: dalla ceramica alle pelli, di cui Fès è il maggiore centro di produzione.

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Conceria di Chouara, la più grande delle tre concerie di Fès. Ancora oggi viene utilizzato lo stesso sistema usato per tingere la pelle 1000 anni. In enormi vasi di pietra vengono tinte le pelli in modo del tutto naturale, usando il papavero per il rosso, l’indaco per il blu e l’henné per l’arancio.

Tuttavia, non ci mettemmo molto a entrare nell’anima di quel mondo così strano e diverso dal nostro e a sentirci parte di quella realtà. Avevamo scelto di visitarla perchè ricca di storia e cultura, è infatti definita la capitale culturale del Paese. Nota, soprattutto, per la Fes El Bali, la medina fortificata, che al suo interno conserva intatti tra i più preziosi esempi di architettura merinide medievale e antiche scuole religiose, tra cui la Bou Inania del XIV secolo. È l’unica in cui è permesso l’ingresso ai non fedeli fuori dall’orario di preghiera.

Fu proprio a Fès, inoltre, che fu fondata la prima università al mondo, l’Università al-Qarawiyyin, peraltro da una donna: Fatima Al-Fihriya.  

Aggirandosi per le strade della medina si corre spesso il rischio di restare incantati dalle numerose opere di architettura, decorate con intarsi di legno di cedro e piastrelle lavorate. La porta Blu è una delle porte principali che circondano il centro storico di Fès, al cui esterno, invece, la città sembra essere molto più al passo con i tempi della modernità occidentale. Un contrasto stupefacente.

Ci si può immergere ancora di più in questa sua vena artistica, facendo un giro nel museo del legno, dove sono presenti tutti gli oggetti possibili e immaginabili, lavorati con un’inimitabile maestria. Ancora più suggestiva e caratteristica è la piazza As-Seffarine, dove gli artigiani lavorano l’ottone. E tra l’odore delle pelli e il frastuono dei souk, dove a volte sei costretto a schiacciarti alle pareti per far passare gli asini carichi di merci, puoi trovare rifugio in una delle aree verdi più rilassanti della città: il parco Boujloud.

Uno dei ricordi più belli di Fès, che conserverò sempre nel cuore, è stata la conoscenza di Samadi, il ragazzo che gestiva il nostro riad, e del suo amico Aziz. Sin dalla prima sera abbiamo stresso amicizia e trascorso anche quelle seguenti a scambiarci racconti ed esperienze di vita come se fossimo amici da sempre. La loro profondità d’animo e la semplicità con cui siamo entrati subito in confidenza con loro mi hanno aperto un mondo sul Marocco, sulla sua gente e sulla loro cultura. Non dimenticherò mai la sensazione che ho provato, a confrontarmi con loro, nel sentirmi così simile e vicina spiritualmente, a dispetto della distanza tra le nostre radici geografiche e culturali.

Chefchouen: la città blu.

In fine Chefchouen, la città blu. Un piccolo scrigno di stupore e sguardi all’insù.
Tanta bellezza da perdere l’orientamento.
E lo scorrere del tempo ti sembra lento.

A volte il destino è davvero imprevedibile. Ti fa incontrare le persone giuste al momento giusto. Girovagavamo tra le vie di Fès, quando incontrammo per caso mamma e figlio di Forlì: Bruna e Massimiliano. Furono la nostra salvezza. Non solo perché accettammo volentieri un passaggio in macchina per Chefchouen per il giorno dopo, ma perché ci regalarono davvero una giornata indimenticabile. Il loro rapporto, così poco comune tra genitore e figlio, mi incuriosì sin dall’inizio. Sembravano quasi coetanei, così affiatati e propositivi da trasmetterci un’insolita sensazione di familiarità, come se ci conoscessimo da prima. Fu la loro compagnia a dare un valore aggiunto alla nostra gita in giornata verso la città blu.

Una delle sue particolarità è proprio il colore turchese di tutti i muri delle case e dei negozi della città. Pare che quella sfumatura cromatica sia funzionale a tenere lontani gli insetti, motivo per cui i suoi abitanti la dipinsero di azzurro. Non immaginando certamente l’impatto che avrebbe avuto sul turismo. Migliaia di visitatori ogni giorno si recano a Chefchouen solo per perdersi nel turchese dei suoi vicoli, lasciandosi incantare dalla sua luminosità, in grado di trasmettere positività e allegria.

È così che il Marocco, e i suoi mille colori, e gli odori, e le storie che incontri, ti entrano dentro.
E ne fai parte anche tu, per sempre.

Viaggiare significa misurarsi.
Con il proprio spirito di adattamento, con la capacità di relazionarsi, con la conoscenza di un’altra lingua e con la resistenza fisica e mentale.
Grazie a questa avventura ho scoperto che il mondo a volte può essere più piccolo di quanto pensiamo e che esplorarlo ci può far sentire più liberi e felici.