Agosto 2017.
Catania.
Era l’ultima settimana di agosto. Partimmo alle 5 del mattino in macchina dal Salento, con una prima alba all’orizzonte a farci compagnia durante le prime ore del viaggio. La Sicilia ci attendeva, direzione: Catania.
Arrivammo in città in pieno giorno, dopo aver posato le valigie nella camera del nostro B&B, ci dirigemmo a piedi verso il centro. Incontrammo subito piazza Duomo, caratterizzata dalla presenza di una statua di un elefantino in pietra, simbolo di Catania. Pare sia il magico protettore dalle eruzioni dell’Etna, da cui prende il nome Palazzo degli Elefanti, sede del Municipio, che insieme al Palazzo dei Chierici e alla Cattedrale circondano la fontana dell’Amenano, dal nome del fiume che scorre sotto la città. La protagonista indiscussa della piazza è la cattedrale di Sant’Agata, in marmo di Carrara che, nonostante le varie ricostruzioni dopo i diversi terremoti, conserva intatta la sua bellezza, con le sue colonne dell’antico teatro romano, le sue tre navate e il suo interno magnifico.
Un’atmosfera di vita autentica, discretamente custodita dietro ogni balconcino e serranda mezza abbassata, ci accompagnò silenziosa tra i suoi vicoli, in quel caldo pomeriggio di agosto. Senza una meta ben precisa ci addentrammo nel cuore del suo centro storico, attenti a non disturbare la quiete delle sue strade semi deserte, ammirando il suo barocco apparentemente trasandato e reso ancora più affascinante dai segni del tempo. Facemmo il pieno di energie con gli arancini dell’Etoile D’Or (i più buoni mai assaggiati nella mia vita), seguiti da una dissetante granita al limone abbinata al gelato al pistacchio. Prendemmo due chili in un pomeriggio. A fare da sfondo al nostro ristoro lo splendore del Teatro Massimo.
Secondo giorno in Sicilia: Acitrezza e le Gole dell’Alcantara.
Il secondo giorno a Catania decidemmo di andarcene in giro a scoprire i dintorni. Iniziammo da Acitrezza, nota per i suoi faraglioni mitologici. A pochi metri dalla costa sorgono le imponenti rocce citate nell’Odissea. Secondo il mito, Ulisse, per mettersi in salvo dal ciclope, scatenò la sua ira furiosa a tal punto che Polifemo gli scagliò contro enormi macigni per affondare l’imbarcazione sulla quale i suoi uomini cercavano di allontanarsi dall’isola. Le rocce lanciate da Polifemo rimasero incastrate nel fondale, dando così origine ai faraglioni, oggi principali attrazioni turistiche del luogo.
Trascorsa la mattinata tra quell’azzurro mare, le sue rocce e leggende mitologiche, avevamo ancora a disposizione un lungo pomeriggio prima di andare a cena. Così, dopo aver chiesto alla gente del posto e calcolato mappe e percorsi, ci avventurammo verso le Gole dell’Alcantara.
Qui l’acqua del fiume è freddissima, per via del raffreddamento della lava che ha dato poi vita a delle stravaganti rocce completamente immerse nel verde. Intorno alle gole si estende il Parco Botanico e Geologico, fino al Parco Fluviale dell’Alcantara. Il sentiero delle Gole costeggia la sponda sinistra del fiume, attraversando agrumeti e panorami mozzafiato.
Ci affacciammo dall’alto e non ci pensammo due volte a scendere i 200 scalini che ci separavano da quell’abisso di meraviglia. La bassa temperatura dell’acqua non ci scoraggiò dall’immergerci in quelle gole così refrigeranti e suggestive. Data la loro altezza quasi non si riusciva a vedere la luce del sole e in fondo all’immensità di quelle pareti rocciose era impossibile non provare un senso di protezione, completamente circondati dall’abbraccio della natura sovrastante.
Ritornammo ad Acitrezza per cena, per gustare fronte mare delle indimenticabili linguine ai ricci e dei ravioli ripieni alla cernia, con crema di pistacchio. Divini. Come in un’opera di Camilleri, ci sentivamo ormai parte di quella realtà così pittoresca da sembrare surreale. Erano passati solo pochi giorni, eppure ci eravamo perfettamente integrati con il contesto e amalgamati a quei sapori decisi, a quelle immagini nitide e a quell’atmosfera a dir poco teatrale.
Taormina e l’Isola Bella.
L’indomani facemmo tappa all’Isola bella, prima di proseguire verso Taormina. All’isola si accedeva facilmente. Da una strada statale si scorgeva il suo ingresso, raggiungibile tramite una breve scalinata da cui si poteva già ammirare il turchese cristallino del fondale. Lungo la discesa diversi venditori ambulanti vendevano souvenir e oggetti di ogni tipo: dai sandali per destreggiarsi meglio sulla spiaggia di sassi, ai porta cellulari in plastica utili per i selfie in acqua! L’equipaggiamento è importante!
La particolarità dell’Isola Bella è il suo essere elegante e selvaggia allo stesso tempo. Rocciosa e sabbiosa, rilassante anche se affollata, romantica e accogliente. Sebbene sia un’isoletta, è collegata alla spiaggia da un sottile tratto di sabbia mista a pietre. Lo si poteva percorrere tranquillamente a piedi nudi, leggermente immersi nell’acqua, passando così dalla spiaggia gremita di gente, palette e secchielli, a quella piccola grotta rocciosa attraversata dal verde e da un’atmosfera magica e fiabesca.
Arrivammo a Taormina nel pomeriggio e fummo subito accolti dalla sua graziosa bellezza. Per arrivare all’hotel, appena fuori dalla porta del centro storico, percorremmo in macchina le sue strette e affollate viuzze, frequentate perlopiù da turisti. Posammo le valigie e ci dirigemmo subito in centro, una volta varcato l’ingresso ad arco della porta in pietra, fummo subito rapiti da quei colori accesi, da quell’aria di festa, dai suoi profumi intensi.
Taormina.
Ogni vicolo sembrava un quadro dipinto con gli acquerelli. Il giallo dei limoncelli esposti fuori dalle baracchine, il verde delle siepi che incorniciavano le strade e l’azzurro del mare all’orizzonte.
La sera, dopo una deliziosa cena rigorosamente siciliana, facemmo una passeggiata nella piazza principale: Piazza IX Aprile. La musica dal vivo di un gruppo di musicisti faceva da colonna sonora ad uno spettacolo bellissimo: i bar all’aperto che si affacciavano sulla piazza, la scalinata della chiesa di San Giuseppe, la torre dell’Orologio e quel panorama magnifico che si poteva ammirare dalla balconata.
Da lì si scorgevano la baia di Naxos e i ruderi del teatro antico di Taormina. Ricordo che facemmo in tempo a ballare l’ultima canzone prima che gli artisti di strada smettessero di suonare. Continuavamo a sentirci parte di un’opera cinematografica, protagonisti ignari di un racconto indimenticabile. Difficilmente avremmo rimosso dalla nostra memoria quella atmosfera di spensieratezza che ci ha accompagnati per tutto il viaggio, tappa dopo tappa, in una Sicilia così sorprendentemente magnifica.
Quarta tappa del nostro tour in Sicilia: Palermo.
Eravamo già perdutamente innamorati di quei paesaggi meravigliosi, della sua storia, delle sue tradizioni e di quel profondo legame con quella terra che si leggeva negli occhi della sua gente. Un attaccamento viscerale a quei luoghi, a quegli odori e sapori che conquistavano chiunque. Mi colpirono le strade che collegavano una città all’altra, completamente immerse nella natura e delineate da montagne che separavano dal mare.
Attraversammo mezza regione, passando dal suo versante orientale a quello nord occidentale, entrando sempre più nel cuore della Sicilia che, anche senza autostrade, sopravviveva benissimo. Arrivammo a Palermo all’ora di pranzo, il tempo di fare il check-in al nostro B&B e poi dritti a Mondello, attrezzati di un indimenticabile panino con la ‘meusa’: una vera goduria!
Ad agosto è prevedibile che la spiaggia sia affollata, ma nonostante ciò ricordo un’acqua limpida e fresca, tanto da spingerci a cercare altri luoghi di mare da ammirare. Così nel primo pomeriggio ci mettemmo in macchina e ci dirigemmo senza meta verso angoli meno conosciuti e meno turistici. All’avventura! Ci ritrovammo per caso in una località marina poco distante dalla città, che si estendeva lungo un litorale roccioso e deserto. Wow. In rari momenti della mia vita ho provato quella pace, quell’adeguatezza, come se fossimo giunti finalmente in un luogo che ci attendeva sin dall’inizio. Divenne il nostro posto preferito nella terra dei limoni e degli aranci.
La sera uscimmo abbastanza presto, per godere ancora delle ultime ore di luce naturale. Mentre percorrevamo una delle vie principali che porta all’incrocio dei 4 canti, percepimmo la sensazione di trovarci, non in una sola città, ma in tanti luoghi del mondo perfettamente mescolati tra loro. I tratti arabeggianti delle sue chiese e dei suoi palazzi rivelavano in tutta la loro bellezza le influenze del passato.
La chiesa di San Giuseppe dei Teatini fu la prima di una lunga serie di meraviglie che avremmo scovato a Palermo. Ci accolse in tutta la sua grandiosità, con le sue tre navate e il suo stile barocco, contraddistinto dal marmo e dagli affreschi delle cupole. Non sarebbe finita lì: all’esterno della chiesa si poteva ammirare la fontana Pretoria, con le sue statue raffiguranti le divinità mitologiche.
La nostra prima giornata a Palermo si concluse con una deliziosa cena in una trattoria davvero fuori dal comune: Ferro di Cavallo. Non si poteva prenotare, ma solo arrivare lì, lasciare il proprio nominativo e aspettare. E qui arriva la parte divertente: ogni cinque minuti i camerieri intrattenevano gli ospiti in attesa offrendo vassoi di paranza e bicchieri di spumante. Ci preparammo così agli spaghetti con sarde e finocchietto che avrebbero deliziato la nostra cena. Quell’atmosfera informale, generalmente tipica dei piccoli paesi, ci fece sentire a casa.
Secondo giorno a Palermo.
Prima tappa del nostro secondo giorno a Palermo: il mercato di Ballarò. Difficile immaginarselo prima e tentare di descriverlo rischierebbe di banalizzare quella che è un’esperienza da vivere in prima persona. Definirlo folkloristico è poco. Una volta addentratici nelle sue vie perdemmo subito l’orientamento, inebriati dall’odore dell’ origano e del pane e panelle. Non era semplicemente un mercato, sembrava un piccolo borgo dentro la città, caratterizzato dai banconi di frutta e verdura e dai chioschietti di spezie aromatiche e altri prodotti locali.
Nel pomeriggio visitammo la Cattedrale. Dall’esterno una delle più belle che abbia mai visto. Semplicemente maestosa, un connubio di stili e architetture: dall’arabo-normanno al gotico, con alcuni tratti del barocco. Conserva intatti i segni di un’influenza araba, risalente a quando era ancora una moschea. Al suo interno si possono visitare le tombe reali, tra cui il sarcofago di Federico II e la tomba di Santa Rosalia, patrona della città.
Proseguimmo verso la chiesa della Martorana, di una bellezza sorprendente, tra le più affascinanti chiese bizantine in Italia. Anche qui è evidente il contrasto tra lo stile arabo-normanno e quello bizantino, con le sue colonne in marmo che sorreggono il soffitto completamente rivestito da affreschi e mosaici dorati. Non a caso è uno dei beni tutelati dall’Unesco.
Chiudemmo in bellezza anche questa giornata, con un’esperienza indimenticabile al mercato serale della Vuccirìa. Un mix di odori forti e sapori decisi ci accolsero in una piccola piazza allestita con baracche di ogni genere, da chi arrostiva il pesce sulla griglia a chi cuoceva la carne, chi friggeva arancine e chi riempiva sul momento deliziosi cannoli di ricotta fresca. Un’atmosfera vivace e stravagante che rese quella serata decisamente unica e tutt’altro che noiosa!
Ogni tanto scorrazzavano indisturbati i ragazzi in motorino, equipaggiati di stereo portatile ad alto volume. La gente seduta ai tavoli applaudiva divertita, era impossibile non lasciarsi travolgere da quello spettacolo circense. Il divertimento era assicurato!
Prima di fare ritorno a casa facemmo un ultima tappa a Capo d’Orlando, per salutare il nostro amico Agostino. Dormivamo in un hotel sulla spiaggia e l’acqua era di un turchese impressionante. All’orizzonte si intravedevano le isole Eolie, nostra prossima tappa in un futuro ritorno in Sicilia.
Che dire di quest’isola? Se non che mi ha stregata. Ti entra dentro gradualmente, con i suoi forti tratti caratteristici, dalla cucina ai paesaggi, dalla sua storia alle influenze artistiche e culturali. Ti coinvolge passo dopo passo dentro un vortice di sensazioni e sentimenti sorprendentemente intensi.
A volte ho avuto l’impressione di essere tornata indietro nel tempo, di trovarmi in luoghi fermi ed eterni, dove si vive benissimo in quella dimensione fortemente caratterizzata da rituali e tradizioni, da miti e leggende.
La gente del posto ti accoglie inizialmente con diffidenza e sguardo schivo, ma attento e vigile, poi, lentamente, dopo averti studiato e appurato che sei lì per ammirare e godere di quei tesori e di quegli angoli di paradiso, si lascia andare, inizia a fidarsi di te. Ti fa entrare nella sua casa e nel suo cuore con animo fiero di chi difende la propria terra, ancora oggi spesso offesa da chi non la conosce bene e, forse, non ne è degno.
La Sicilia non è un’isola come le altre, è una terra ricca di storia, antiche tradizioni, ferite ancora aperte e duri sacrifici. È la terra dell’accoglienza, di chi non ha paura ad aprire i confini agli stranieri, di chi ogni giorno lotta per difenderla dai soprusi e dalle discriminazioni.
Autentica, variopinta ed eclettica. La Sicilia è immensa e va amata e protetta da tutti, non solo dai siciliani.